Un saggio del prof. Giuseppe Di Giacomo
La moda come equilibrio tra effimero e immortalità
La moda, come scrive Leopardi nelle Dialogo della Moda e della Morte, è “figlia della caducità”: ciò che innanzitutto la caratterizza, infatti, è la dimensione della caducità, del transitorio. In questo senso, il fascino della moda è il fascino di una realtà sempre nuova che, risolvendosi nella fugacità dell’effimero e del contingente, esclude ogni idea di assoluto e di eternità: nella moda a trionfare non è la fissità dell’immutabile, ma la mobilità del divenire, di ciò che continuamente e imprevedibilmente muta e si trasforma, consumandosi rapidamente. Da questo punto di vista, la moda costituisce uno dei tratti distintivi della modernità: comune a entrambe, infatti, è la consapevolezza che gli ideali eterni e assoluti sono ormai irrimediabilmente perduti.
È anche vero, però, che il rapporto che la moda intrattiene con la dimensione del tempo è un rapporto paradossale: se per un verso la moda è l’espressione di un mutamento che produce forme sempre nuove e diverse, per altro verso essa si traduce nel continuo andare e venire degli stessi modelli, e di conseguenza in un eterno ritorno dell’identico, in una infinita ripetizione del sempre-uguale che, di fatto, nega il tempo. In particolare, che l’idea di moda si identifichi con la dimensione del cambiamento repentino, è qualcosa che storicamente emerge a partire dal Seicento: prima, infatti, l’abito non era inteso come appagamento del bisogno di diversità, ma come prova di appartenenza a un determinato ceto sociale, all’interno di un ordine gerarchico del quale proprio l’abito, inteso come o manifestazione di “virtù”, era chiamato a tutelare l’immutabilità (come esemplarmente testimonia il ruolo svolto dalle “leggi suntuarie” e dai “galatei” tra il XVI e il XVII secolo).
Solo a partire dalla metà dell’Ottocento, però, la moda conquista un mercato di vaste proporzioni, con la conseguenza di dare luogo a un autentico processo di globalizzazione del gusto: è in questo periodo che, con la nascita dell’ “alta moda”, il rapporto tra il sarto e la clientela si rovescia, dal momento che ora il sarto, non che limitarsi – come avveniva in passato – a realizzare il tipo di abito scelto dalla clientela aristocratica, comincia a inventare e a creare i tipi di moda ai quali la nobiltà e la ricca borghesia devono attenersi. Più in generale, è importante osservare come nella modernità l’idea di moda abbia assunto una indubbia rilevanza sotto il profilo teorico, e questo sia in rapporto alla riflessione filosofica (basti pensare a figure come Georg Simmel e Walter Benjamin), sia in rapporto alla dimensione dell’arte (l’arte di oggi, infatti, condivide con la moda la dimensione dell’effimero e della caducità, come mostrano esemplarmente fenomeni quali gli happenings, la body art, la land art, le installazioni, le immagini multimediali).
In particolare, il ruolo che la moda gioca nell’orizzonte estetico della modernità è un ruolo fondamentalmente duplice: da un lato, nell’offrirsi a noi come l’unico senso possibile in un mondo ormai mercificato e privo di senso, la moda promuove quei processi di omologazione che caratterizzano la società capitalistica; dall’altro lato, è proprio nel suo essere espressione dell’effimero, e quindi della insuperabilità del contingente, che la moda viene assunta consapevolmente dall’arte come dimensione capace di garantire la connessione tra l’arte stessa e la società. Così, è appunto nell’aprirsi alla moda, e nel farsene compenetrare, che l’arte può assolvere alla sua preziosa funzione conoscitiva: può, cioè, parlare del mondo. Il difficile equilibrio raggiunto dalle opere d’arte moderne consiste proprio nella capacità che queste devono avere di vivificare la moda, senza farsene però imprigionare, come esemplarmente mostra, proprio alle origini della modernità artistica, l’opera di Charles Baudelaire, l’ “artista della vita moderna” per eccellenza.
Questo rapporto tra permanenza e caducità, ossia tra arte e moda, è declinato come rapporto fra tradizione e innovazione nella grande sartoria italiana della quale “Caleffi” di Roma è sicuramente, dal 1911, una delle espressioni più rilevanti e interessanti. La produzione di Caleffi si presenta come un’ “icona della moda classica italiana”, un’espressione questa che appare estremamente significativa proprio perché dice molto della capacità che Caleffi ha di tenere produttivamente insieme dimensioni diverse e apparentemente incompatibili, appunto l’idea di “moda” e l’idea di “classicità”, dove la classicità, secondo l’ispirazione e il progetto creativo di questa azienda, è la forma che assume una “eleganza senza, tempo”. Una realtà come quella di Caleffi, proprio per la peculiarità del progetto stilistico e creativo che la anima, diventa allora l’occasione per riflettere appunto sul tema della moda e sul suo rapporto con il tempo e con l’arte.